A proposito della mancanza di un Piano Energetico Nazionale

Ieri, come tanti altri, ho visto Report. Tra i tanti spunti di discussione a me è risaltata la questione del Piano Energetico Nazionale. O meglio, la totale assenza dello stesso in Italia.

L’ultimo piano energetico nostrano risale infatti al 1988. Fu attaccato durissimamente da quasi tutti i politici dell’epoca – eravamo in periodo pretangentopoli – e dai media, non tanto per il contenuto, ma per il concetto stesso di pianificazione nazionale. Pianificare fu considerato alla stregua di un retaggio sovietico – il muro era ancora in piedi, allora – e il dirigismo statale fu abbandonato in favore del mercato libero. Il periodo delle privatizzazioni selvagge stava per cominciare e il picco del petrolio era ancora argomento per sole Cassadre inascoltate.

L’energia fu dunque considerata un bene commerciale e non strategico e, come tale, autoregolata dalle leggi di mercato. Questa tesi fu fortemente sostenuta dal Ministro delle Partecipazioni Statali di allora: l’onorevole De Michelis, personaggio ancora oggi discretamente famoso.

Ma il reale suicidio in materia d’energia arrivò poco dopo, con la riforma costituzionale che attribuì alle Regioni la competenza sull’energia. In pratica, e la pratica vale ancora oggi, i piani energetici sono regionali e ogni regione fa ovviamente come le pare. E così siamo al caos totale nel settore dell’energia. Il che è un disastro per un paese come l’Italia, che possiede poca energia propria e si trova a dipendere dalle fonti energetiche altrui, spesso attraverso vie decisamente poco felici (leggasi anche alla voce rapporti tra Putin e Berlusconi). Tuttavia è un disastro annunciato, nato e cresciuto nell’incuria di chi considera l’Europa e il mondo come una piccola provincia lontana cui l’Italia non appartiene e di cui non curarsi affatto.

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