Le emissioni di Volkswagen

Il mio articolo per Il Post

Da qualche settimana è in corso una guerra stellare: gli Jedi di Greenpeace combattono il lato oscuro della forza di Volkswagen (VW). Non sto scherzando, sul sito di Greenpeace trovate l’invito a unirvi alla ribellione contro VW con tanto di piani segreti custoditi da R2D2 e addestramento Jedi per padawan su internet. Una campagna in grande stile, giocata in rete con tecniche da marketing virale. Greenpeace ha realizzato pure degli anti-spot contro VW, che nulla hanno da indiare al giovane Darth Vader di VW, spendendo certamente un bel po’ di quattrini.

Oggetto degli strali di Greenpeace sono le emissioni del parco auto venduto da VW. O, meglio, la scarsa diminuzione delle emissioni delle auto della casa tedesca, dovuta, secondo Greenpeace, allo scarso interesse al verde di VW e al lobbysmo contro l’innalzamento dei limiti di emissione.

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Come costruire una tramvia e vivere felici

Il sempre ottimo Corrado Truffi spiega su iMille-Magazine come costruire una rete tranviaria e liberare i centri cittadini dalle auto. Basta finanziatla con una moderata tassa di scopo ai possessori d’auto (30 euro all’anno per la realizzazione e 60 euro per la gestione). Lettura consigliata ai politici che seguono questo blog.

Quello che la stampa non dice

Anche questa settimana, una rapida carrellata sulle notizie sull’energia dei maggiori quotidiani italiani con annesso commento su balle e cialtronerie degli articoli. Spero possa essere d’aiuto per farsi un’idea sul mondo dell’energia. A margine, degno di nota il fatto che su Il Giornale e Il Secolo XIX la categoria “Ambiente” non compaia nemmeno. Buona lettura.

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Abbandoneremo il nucleare ma anche no

Proprio ieri, Noda, il nuovo premier giapponese, ha deciso per la ripartenza delle centrali nucleari del paese, ferme dopo l’incidente a Fukushima. Una misura temporanea, naturalmente, ma il Giappone, parole di Noda, proprio non poteva far a meno dell’energia prodotta dall’atomo (un terzo dell’intera produzione nazionale, cioè tanta).

update: oggi ne parla anche Il Post.

Chi paga questa crisi

Certo non il settore della chimica.

La chimica, nelle sue variegate articolazioni, è tutt’altro che in crisi e ciò emerge con chiarezza se ci si libera definitivamente dello stereotipo per cui l’industria chimica si identificherebbe con i grandi comparti di base, quindi essenzialmente con il petrolchimico. Stando agli ultimi dati elaborati da Federchimica, in realtà, sono in crescita settori come quello dei fertilizzanti e degli agrofarmaci (rappresentano il 6% del fatturato dell’industria chimica), quello dei detergenti e cosmetici (oltre il 20%), delle pitture e delle vernici (ca. il 15%), e delle altre specialità chimiche, dentro cui spiccano le performance di colle ed adesivi, delle fibre artificiali e sintetiche, dei nuovi materiali biodegradabili.

[da Linkiesta]

La lettura dell’articolo è altamente sconsigliata agli ambientalisti d’antan e a chi pensa che chimica uguale petrolio uguale inquinamento.

Buone nuove cattive nuove

La buona notizia è che in Germania e in Italia si sta installando un sacco di solare fotovoltaico.

La cattiva notizia è che i prodotti cinesi hanno sottratto alla Germania una grossa fetta del mercato mondiale fotovoltaico – e coi proventi dell’industria i tedeschi si ripagavano gli incentivi.

Quello che la stampa non dice

La qualità degli articoli sull’energia dei maggiori quotidiani italiani è generalmente scadente. Solitamente gli articoli si limitano al copia/incolla di lanci d’agenzia, corredati da numeri citati a caso o senza cognizione di causa. Va meglio sulla stampa specializzata, se non fosse le notizie che ivi leggete molto spesso sono biased, cioè riflettono l’orientamento di chi quelle notizie le pubblica, spesso per fini politici e/o propagandistici. Se un settimanale sostiene le rinnovabili aspettatevi solamente articoli in favore delle rinnovabili e contro il nucleare, e viceversa. Il risultato è che chi vuole farsi un’idea di come stiano davvero le cose nel mondo dell’energia, separando ciò che auspicabile da ciò che è ragionevole attendersi, lontano da propaganda elettorale e guitti arruffapopolo, generalmente non sa che pesci pigliare. Qui di seguito un breve commento alle notizie sull’energia apparse sui maggiori quotidiani italiani questa settimana. Spero possa esservi d’aiuto.

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Cina, Africa e biocarburanti

Fino ad oggi, l’interesse della Cina nei biocarburanti è rimasto molto modesto. Ma cosa succede se PetroChina, la più grande compagnia petrolifera cinese, decide di aumentare la produzione di biocarburanti da quasi nulla a circa 1 milione di tonnellate entro il 2015, importando ulteriori 470mila tonnellate? La prima cosa interessante da notare è che PetroChina è una società che tratta idrocarburi tradizionali. Il che significa che molto probabilmente non riuscire a produrre così tanto biocarburante da sola e dovrà andare a prenderlo altrove. Orbene, dove?

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Cosa succede se aumenta il prezzo del petrolio

Alti costi di estrazione -> alti costi energetici -> indebitamento sovrano – > crescita massa monetaria -> minore fiducia negli asset tradizionali come azioni e dollari -> afflusso dei soldi nelle commodities -> ancora più indebitamento sovrano -> crescita massa monetaria … kaboom

[dal blog di Anna Ryden, una che pensa]

Oggi a che punto stiamo? Stiamo al punto che i prezzi delle commodities più importanti – energia, metalli, minerali, agricoltura e cibo – sono in salita costante già dall’estate 2009 e che alcune economie europee hanno problemi a sostenere il peso del loro debito pubblico. Per cui ci siamo in pieno. Come se ne esce? Già da qualche anno l’Unione Europea si muove secondo le direttive del progetto “Europa 2020”, per assicurarsi una crescita sostenibile, con cui, in pratica, si sta tentando di separare il prezzo delle commodity fisiche da quello dei rispettivi derivati finanziari per mettersi al riparo, tra l’altro, da speculazione e similari. Incrociamo le dita, sennò … kaboom.

Inaudito: Google è una grande impresa

Al Corriere della Sera hanno scoperto che Google è una grande impresa, e che le grandi imprese consumano molta energia. Pazzesco, vero? L’articolo del Corriere lo trovate qui, ed è scritto coi tipici toni scandalistici della stampa ambientalista italiana, citando numeri a caso senza cognizione di causa. Un rapido commento, da tenere buono per altri articoli simili (e ce ne sono tanti).

Il titolo:

Google consuma energia elettrica quanto 41 grattacieli.

Già fa capire che aria tira. Probabilmente non serve leggere oltre, ma andiamo avanti.

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