Dematerializzazione dell’economia: intensità energetica

imagingtheworldScuse sentite ai lettori di questo blog per il ritardo di questo articolo. Quella che doveva essere una semplice disamina sull’intensità energetica dell’economia, forse uno degli indicatori più popolari per l’efficienza energetica, si è rivelata un vespaio. La maggior parte delle considerazioni sull’intensità energetica sono infatti più uno sterile esercizio di aritmetica sconnesso dalla realtà che conclusioni di valore. Questo post cerca di sintetizzare al massimo la questione. Buona lettura, diciamo.

PIL e consumo d’energia. Nella trattazione economica, gli economisti sono tradizionalmente concentrati su capitale e lavoro e, più recentemente, sugli effetti del progresso tecnologico. Secondo alcuni economisti ecologici invece, il consumo di energia dovrebbe essere lo standard primario di valore per la società moderna, per l’ovvio motivo che qualsiasi sistema, umano e non, ha bisogno di energia per funzionare. Su questo presupposto è cresciuta nel tempo l’idea di una società basata sul consumo energetico e le energie rinnovabili. Nel sistema economico moderno, la ricchezza prodotta annualmente è misurata dal Prodotto Interno Lordo (PIL). Da decenni definizione e modalità di calcolo del PIL come misura della qualità della vita sono oggetto di discussione tra gli economisti. Associare il PIL al tenore di vita porta infatti a usare il benessere materiale come indicatore della qualità della vita, con tutto ciò che ne consegue. Tuttavia, nonostante decenni di proteste da parte di ambientalista e decrescisti, ad oggi non è ancora noto un parametro migliore per misurare la qualità della vita e tocca tenerci il PIL.

L’intensità energetica è definita come il rapporto tra consumo di energia primaria e PIL. Definizione alla mano, un valore alto di intensità energetica indica un alto consumo nel convertire l’energia in PIL e, dunque, una bassa efficienza. Una basse intensità energetica al contrario indica una migliore performance economica per unità di energia consumata. Va da sé che l’intensità energetica è da molti considerata una misura attendibile per l’efficienza energetica nella cornice economica nazionale.

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L’economia del clima

Pochi mesi fa, ONU, Banca Mondiale, FMI e OCSE hanno pubblicato un rapporto per conto della Commissione mondiale per l’economia e il clima dal titolo “crescita migliore, clima migliore: la nuova economia del clima”. I lavori sono stati presieduti da Nicholas Stern, già autore del famoso Rapporto Stern sui cambiamenti climatici nel 2006. In poche parole, il nuovo rapporto sostiene che la salvaguardia del clima non solo è compatibile con la crescita economica, ma che tra i due è possibile instaurare un ciclo di feedback positivo – migliore clima migliore crescita economica e migliore crescita economia migliore clima – attraverso opportune politiche (intelligenti) per la riduzione delle emissioni di gas serra.

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Crescita e progresso tecnologico

Una delle ragioni per cui la crescita è una condizione imprescindibile per l’economia produttivista moderna è quella che passa sotto il nome di produttività totale dei fattori (TFP, Total Factor Productivity). Il TFP è forse la parte più importante del modello della crescita economica infinita di Robert Solow, per il quale il nostro ricevette il Premio Nobel nel 1987. Del modello di Solow su questo blog si è già parlato tempo fa, in specifico della relazione tra crescita economica e EROEI decrescente delle fonti fossili. Il TFP, o residuo di Solow che dir si voglia, è la parte della crescita economica che non può essere spiegata dai cambiamenti dei fattori “capitale” e “lavoro”. Altrimenti detto, il TFP è ciò che rimane quando si sottraggono gli aumenti dei fattori produttivi (più risorse naturali, più capitale, più lavoro) dalla crescita del PIL ed è, a tutti gli effetti, il risultato del progresso tecnologico. Una tema ricorrente caro tra decrescisti e picchisti è l’effetto pernicioso della crescita economica sugli ecosistemi naturali, con conseguente invito a spegnere tutto e fermare la crescita. Ma è davvero possibile smettere di crescere?

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Duecento dollari a barile

Mi segnalano un articolo su Bloomberg di Jeff Rubin: Come l’alto prezzo del petrolio bloccherà permanentemente la crescita economica. Rubin è l’economista passato alla onori della fama per aver previsto, forse l’unico, il crollo delle borse mondiali nel 2008.

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Crescita economica e sviluppo sostenibile

Questi giorni di riposo (forzato) mi hanno finalmente concesso il tempo per una riflessione sul concetto di sviluppo economico, in ottica classica – la famosa/famigerata crescita infinita – sostenibile e decrescista, per lo sfruttamento delle risorse naturali in relazione alla finibilità della biosfera. L’argomento è vasto e questo non vuol essere un post esaustivo sull’argomento, quanto un primo work-in-progress per fissare le idee e avviare la discussione.

Cominciamo dal principio, e cioè dal concetto di crescita e sviluppo economico. La crescita economica ha da tempo assunto il ruolo di protagonista sul palcoscenico mondiale, soprattutto in tempi di crisi. Sulle ragioni della crescita e i modi per realizzarla le varie teorie economiche presentano molte differenze, a fronte però di due soli capisaldi: la definizione di crescita e gli effetti che essa produce. In altri termini, la distinzione tra le varie teorie economiche per l’aumento del “benessere” è una discussione sui concetti di crescita e sviluppo.

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Pensieri sulla decrescita

E’ da un po’ che volevo scrivere qualcosa sulla decrescita, ma per mancanza di tempo non ci sono mai riuscito. Questo non vuol essere un post esaustivo sull’argomento, quanto un work-in-progress per districarsi in quel crogiuolo di opinioni e cialtronerie che è diventata la decrescita sui media italiani.

Cominciamo dall’inizio: cos’è la decrescita? Decrescita è un termine che abbraccia tante discipline – economia, ecologia, eccetera – e parte dall’assunto che le risorse naturali sono limitate. Di conseguenza, non si può immaginare un sistema a crescita infinita. Sulla decrescita è cresciuto negli anni un coacervo di idee e movimenti anti-produttivisti, anti-consumisti, anti-capitalisti ed ecologisti, in conflitto con (quasi) tutto, spesso anche tra di loro. In Italia, i decrescisti più famosi sono certamente Maurizio Pallante e Luca Mercalli, anche se sulla decrescita si sono espressi di recente Serena Dandini, Carlo Petrini e Sandro Veronesi.

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